Conobbi questo personaggio carismatico alcuni anni orsono a causa di una mia passione: le rose botaniche e antiche. In una mostra a Masino, organizzata da F.A.I. (3 giorni per il giardino), a caccia di rarità, mi imbattei in una rosa incredibilmente bella, di una purezza unica, color rosa chiarissimo. Il suo nome eraOmar Khayyam. Scoprii che i suoi semi vennero portati dalla tomba di questo saggioscrittore, sepolto a Nashipur in Persia (attuale Iran) e piantati nel 1893 sulla tomba di Edward Fitzgerald (curatore delle sue opere in Inghilterra) nel Sulfolk. Volli capirci qualcosa in più (come sempre) e dopo alcune ricercheconobbi la storia appassionante di questo uomo nato verso il 1040 dell’era cristiana e morto il 4 dicembre del 1113. La vita di Khayyam è circondata dal mistero e pochissime informazioni sono disponibili per tracciare la sua vita. I ricercatori sono dell’idea che Omar Khayyam sia nato da una famiglia di artigiani di Nichapur (suo padre era un fabbricante di tendaggi). Trascorse la sua infanzia nella città di Balhi dove studiò sotto la direzione dello sceicco Mohammed Mansuri, uno dei più celebri ricercatori del suo tempo. Nella sua gioventù Omar Khayyam divenne allievo dell’Imam Mowaffak di Nishapur considerato come uno dei migliori professori di Khorasan (regione della antica Persia). Terminati gli studi e dopo l’ascesa al potere dell’amico Nizam Al-Mulk, Gran Vizir della Persia, Khayyam ricevette una pensione di 1200 mithkals d’oro dalla tesoreria reale e, non essendo particolarmente ambizioso, si ritirò per studiare le scienze e la preghiera. Se si decifra con il sistema abjad il suo nome risulta il termine Al-Ghaqi, il dissipatore di beni, espressione che nella terminolgia sufi è attribuita a “colui che distribuisce o ignora i beni del mondo che costituiscono un fardello nel viaggio che si intraprende sul sentiero sufista“. Omar Khayyam è considerato, a ragione, come uno dei più grandi matematici del Medio Evo ma i suoi lavori algebrici furono conosciuti in Europa solo nel XIX° secolo. Scrisse “Dimostrazioni dei problemi di algebra” nel 1070 dimostrando appunto che le equazioni cubiche potevano avere diverse radici e costruì delle tavole astronomiche conosciute sottoil nome di Zidj-e’Malikshahi.Nel 1074 divenne direttore dell’Osservatorio di Isahan e riformò, dietro precisa richiesta del sultano Malik Shah, il calendariopersiano (riforma Jelaléenne). Introdusse un anno bisestile e misurò la lunghezza dell’anno come 365,24219858156 giorni. Questa tipologia di anno è più corretta rispetto all’anno gregoriano creato cinque secoli dopo. Oggi l’anno è calcolato in 365,242190 giorni. I suoi poemi sono chiamati Rubayat (quartine). Le quartine di Khayyam sono delle perle mistiche che fanno di quest’uomo unSufi. Nella pratica, Khayyam, si mostrò fortemente critico nei confronti dellareligione del suo tempo. La parola “vino“ è menzionata frequentemente nelle sue quartine, “il vino divino che inebria e invade di dualità, insieme alla compagnia di giovani donne“. Khayyam è un “disperato” che maschera con un sorriso questa sua “serenità dolorosa“, senza ferite. In tutta la sua vita cercò senza sosta la Verità nelle scienze, nella filosofia, nei piaceri della vita. Laserenità di questi abusi non assomiglia alla calma olimpica di Ghoete e neppure alla insignificante quiete di Orazio, poeta che troppe volte Khayyam è stato paragonato. La sua cultura universale, e le sue delusioni, di ordine puramente trascendentale, hanno conferito al poeta una sprezzante indifferenza e un amarezza che non accetta un piacere per cambiarlo indolore. Il suo coraggio è rimarcabile quando proclamò l’inedia dei dogmi religiosi e delle conoscenze umane tra i suoi contemporanei fanatici e intolleranti. Khayyam indicherà, come farà poi più tardiJalal Ud Din Rumi, che l’uomo sul cammino di Dio non ha bisogno di luoghi dedicati per venerare il suo Dio e che la frequentazione di Santuari religiosi non è una garanzia di un contatto con Dio, ne un indicatore di rispetto verso una disciplina interiore. Questa visione spiega perché molte delle sue quartine sono state censuratedal regime odierno iraniano che non apprezza, ovviamente, questa visione “liberal” dell’Islam. Molti agnosticioccidentali vedono in questa figura uno dei loro fratelli, tanto che molti musulmani, per sconfessare questa tesi, perseguono nelle sue opere la parte simbolica dell’ esoterismo e le profonde radici sufiste. Ma queste visioni esoteriche di Khayyam sono state altresì ferocementecombattute da quelli che vedono in lui il precursore delle filosofiematerialiste. In effetti se per alcuni l’uso che fece della figura del vino, una sorta di manna celeste, un presagio divino, altri rifiutano questa interpretazione e lo considerano come un vero materialista, cantore della libertà individuale e difensore strenuo dell’individualità davanti aldestino e l’apologia del piacere.
“Accontentati di sapere che tutto è Mistero: la Creazione del mondo e la tua, il Destino del mondo e il tuo. Sorridi a questo Mistero come ad un pericolo che tu disprezzerai. No credere che tu saprai qualcosa quando ti affrancherai alla porta della Morte. Pace agli uomini nel nero silenzio dell’Aldilà“.
“Allah è grande! Il grido del Muezzin rassomiglia ad un immenso lamento. Cinque volte al giorno, è la Terra che geme verso il suo Creatore indifferente?”
“Esser, non esser, salvezza, destino. Cielo, Inferno e Misteri….Oh Parolai!! Con tutto il mio studiare io non trovai che una cosa quaggiù: il vino“.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen