Renne di Natale: a rischio la sopravvivenza del famoso branco canadese

I dati sono ufficiali: il branco di renne che un tempo era il più grande del mondo si è ridotto oggi ad una misera frazione delle sue dimensioni precedenti.

Un tempo, il branco del fiume George contava 800.000/900.000 esemplari. Secondo i dati diffusi dal governo dopo una recente indagine, oggi potrebbero esserne sopravvissuti solo 27.600 (una diminuzione di almeno il 95% in generale, ma con un 63% solo negli ultimi due anni).

Questo drammatico declino, che non ha precedenti, lascia gli indigeni locali nel timore che il branco non riesca a sopravvivere.

Responsabile della decimazione, che i ministri del governo hanno definito “importante e allarmante”, è uno “tsunami di fattori”.

Le renne, note nell’America settentrionale come caribù, sono al centro della vita e della cultura di molti popoli indigeni del sub-Artico. Il drammatico calo della popolazione ha scioccato molti di loro, che già lo scorso anno avevano lanciato un grido d’allarme.

Parlando a Survival, George Rich, un anziano del popolo degli Innu del Canada nord-orientale, ha dichiarato: Uno dei fattori più importanti (di tale calo) è il perdurare delle prospezioni e dell’attività minerari.

“Per esempio, la Quest Minerals ha recentemente annunciato di voler costruire una strada attraverso il cuore delle zone di riproduzione del branco, e dai siti di esplorazione è un va e vieni continuo di elicotteri e aerei.”

I progetti industriali promossi dal Canada sulla terra degli Innu hanno distrutto ampi tratti dei terreni da pascolo delle renne, interrompendo i percorsi migratori.

Di fronte a tale decimazione, alcuni biologi puntano il dito contro le pratiche di caccia degli indigeni. Ma gli Innu, che hanno convissuto con i caribù per migliaia di anni, si difendono con vigore.

“Il governo accusa sempre il popolo degli Aborigeni, ma il nostro rapporto con i caribù è molto profondo, e siamo vissuti insieme a loro per generazioni” ha commentato Rich.

Molti Innu rivendicano un maggiore controllo sui loro territori e sulle loro risorse, e chiedono di essere trattati alla pari nelle decisioni che interessano le loro terre e gli animali.

“È facile accusare i popoli indigeni di eccedere nella caccia” ha commentato oggi Stephen Corry, direttore generale di Survival, “perché di solito non hanno voce in capitolo per difendersi da queste accuse. Ma oggi, innumerevoli studi hanno ampiamente dimostrato che sono i migliori ambientalisti del mondo. Quando se ne renderanno conto governi e scienziati? Dobbiamo cominciare ad ascoltare cosa hanno da dirci i popoli indigeni sulle questioni che riguardano la propria terra: loro sanno cos’è meglio”.

Fonte: www.survival.it

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