“Non credo di avere ucciso alcun paziente. Credo invece di averli confortati nel momento del bisogno”: incriminato e poi assolto dalla giustizia britannica come “serial killer di corsia”, radiato peró ieri dall’albo dei medici, il medico gallese Howard Martin, 75 anni, confessa alla stampa di aver aiutato a morire almeno 18 malati terminali e sofferenti in dieci anni di servizio. Solo due, ammette – le sue dichiarazioni sono riportate dal sito del Daily Telegraph -, non glielo avevano chiesto. Gli altri chiedevano solo di porre fine alle loro terribili sofferenze, e fra questi anche il suo stesso figlio Paul, che nel 1988 stava morendo di cancro a 31 anni.
Laureatosi nel 1958, Martin si trasferí dal Galles in Inghilterra e serví come medico ospedaliero nella contea di Durham, nel nord dell’Inghilterra, dal 1994 al 2004, anno in cui fu arrestato con l’accusa di aver procurato la morte e tre anziani pazienti, sul cui corpo furono trovate tracce di dosi fatali di antidolorifici. Affrontó il processo con la stampa che lo trattava come il “nuovo Harold Shipman”, con riferimento al piú famoso serial killer britannico, sospettato d’aver ucciso oltre 200 donne, impiccatosi in carcere nel 2004.
Ma nel 2007 Howard Martin fu assolto dal tribunale di Teeside da tutte le accuse e, come recitano le sentenze assolutorie nel diritto britannico, fu stabilito che “nessun procedimento fosse piú intentato nei confronti del dottor Martin”.
Poi, nel maggio scorso, il dott. Martin viene “processato” da una commissione disciplinare del General Medical Council (Gmc), l’Ordine dei medici del Regno Unito, e qui invece esce allo scoperto. Perch‚ lui in quello che ha fatto, crede fermamente, e lo dice apertamente, a costo del rischio di “passare il resto dei suoi giorni in carcere”, se la polizia dovesse decidere di riaprire il caso. Il processo disciplinare si è concluso ieri con la radiazione dall’Albo della professione medica: Martin, è stata la motivazione, è stato “arrogante”, “fissato” con le proprie idee, “sconsiderato” nei confronti dei 18 pazienti, dei quali ha “accelerato la morte, sopprimendo quindi il loro diritto a vivere”.
Oggi sul Telegraph – le dichiarazioni sono state riprese anche da altri giornali online – Martin decide finalmente di dire la sua, pubblicamente e senza filtri: devono cambiare, dice le regole della sanità, dove si preferisce “relegare” i malati terminali in corsie d’ospedale invece di concedere loro la dignità di morire a casa con i propri cari. “Un veterinario farebbe morire un cane, ma nel sistema attuale a un medico non è consentito aiutare un paziente con un’azione positiva in un modo umano”. “I pazienti – spiega – stanno comunque per morire e io voglio assicurarmi che siano a loro agio. Come fa la nostra cosiddetta società dell’assistenza a non capire questa cosa fondamentale?”. E’ vero, ammette, “due volte ho aiutato qualcuno a morire non perch‚ volesse morire, ma perch‚ soffriva in modo veramente atroce. Tutti gli altri, invece, volevano morire ed erano in grado di scegliere di farlo”. Fra questi, anche il figlio. Martin non ha problemi di coscienza: “Nel Giorno del Giudizio – conclude – dovró risponderne a Dio, e la mia risposta sarà che ho fatto del mio meglio per i miei pazienti”.
fonte aduc