Una donna del South Australia ha ottenuto il diritto a morire attraverso la sospensione dei trattamenti sanitari, tra cui l’alimentazione artificiale. E’ la prima volta che un tribunale dello Stato garantisce l’immunità ai medici che si asterranno dal curare un paziente che richiede di morire.
La donna, ricoverata in una casa di cura e costretta in una sedia a rotelle, ha chiesto ai propri medici di cessare l’alimentazione e la somministrazione di insulina. Il personale sanitario aveva pero’ rifiutato nel timore di essere perseguiti per assistenza al sudicio. Era stata cosi’ interessata della questione la giustizia. Il giudice supremo Chris Kourakis ha stabilito che il rifiuto delle cure non è assimilabile al suicidio, anche se dalla sospensione puo’ derivare morte certa.
La suprema corte ha stabilito che i medici ed il personale sanitario debbano seguire le volontà della donna, e che per questo non potranno essere perseguiti in ambito penale, civile ne’ disciplinare.
Il presidente dell’associazione per la legalizzazione dell’eutanasia Voluntary Euthanasia Society, Frances Coombe, seppur apprezzando la sentenza, ha evidenziato l’assurdità della legge che, pur di vietare la dolce morte, consente la morte per fame e disidratazione. “Ci auguriamo che la morte non sia lunga e agonizzante, ma di sicuro è una situazione deplorevole”, ha detto Coombe. “E’ un modo vergognoso di trattare le persone. Se trattassimo un animale o un cucciolo come trattiamo le persone (nel fine vita) potremmo essere perseguiti per il reato di crudeltà contro gli animali”.
Per il direttore dell’associazione Agend and Community Services, che riunisce diverse strutture sanitarie per anziani, la sentenza pone la comunità delle case di cura di fronte ad una riflessione finora non affrontata. “Dobbiamo dibattere sulla complessità della questione e sul conflitto fra la scelta individuale e le decisioni etiche che saranno prese dalle varie strutture”, ha detto Alan Graham.
fonte aduc