La leader dell’opposizione ucraina Yulia Tymoshenko, ora agli arresti, ha annunciato una campagna di disobbedienza civile. Lo ha scritto in una lettera aperta letta in un incontro a Kiev dal suo difensore, il deputato Sergej Vlasenko. Nella lettera la Tymoshenko dichiara che da oggi non parlerà con i magistrati e gli investigatori. Inoltre non ha intenzione di presentarsi volontariamente in aula davanti al giudice che ha definito “inquisitore”.
Julija Tymošenko entrò in politica nel 1996 e fu eletta al Parlamento nella circoscrizione di Kirovohrad, con una percentuale del 92,3%. Fu rieletta nelle legislature successive. Nel 1998, divenne presidente della Commissione Economia del Parlamento. Dal 1999 al 2001, fu ministro dell’Energia nel gabinetto di governo di Viktor Juščenko. Fu poi licenziata dal presidente Kučma nel gennaio del 2001, su richiesta degli industriali.
Nel febbraio del 2001 la Tymošenko fu arrestata per falsificazione di documenti e importazione illegale di metano, tra il 1995 e il 1997 (mentre era presidente della Compagnia Generale di Energia) ma fu liberata la settimana successiva. I suoi sostenitori politici organizzarono manifestazioni di protesta davanti al carcere di Kiev dove era detenuta. Secondo Tymošenko, i documenti falsi erano stati creati dal regime di Kučma, in combutta cogli oligarchi che si opponevano alle riforme di mercato.
Una volta liberata, divenne la leader dell’opposizione intransigente al presidente Kuchma e condusse campagne contro il suo regime, anche per il suo presunto coinvolgimento nell’assassinio del giornalista Georgij Gongadze. Timošenko mostrò per la prima volta il suo piglio rivoluzionario, durante e dopo la detenzione. Un anno dopo, fu coinvolta in un incidente stradale, in cui riportò lievi ferite. C’è il sospetto che sia stato un tentativo di omicidio politico.
I suoi detrattori sostengono che abbia guadagnato immeritatamente la propria fortuna. Alcuni hanno speculato sulle sue passate frequentazioni di uomini condannati per corruzione e frode, come l’ex premier Pavlo Lazarenko. Il 28 gennaio del 2005, dopo la Rivoluzione Arancione, i suoi avversari sostennero che anche la famiglia Tymošenko fosse coinvolta negli scandali, a partire dal marito, Oleksandr, e dal suocero, HenadiJ. Oleksandr Tymošenko rientrò in Ucraina subito dopo le accuse rivoltegli.
A dispetto del passato discutibile, il suo passaggio da oligarca a riformista è creduto da molti come sincero ed effettivo. Sotto il suo ministero, l’industria energetica ucraina crebbe di circa il 700%. Lottò contro il prelievo abusivo di energia dei grandi complessi industriali. Le sue riforme servirono al governo per pagare gli statali e aumentare i salari. Fondò il Blocco Elettorale Julija Tymošenko, che ottenne il 7,2% alle elezioni politiche del 2002. Divenne la leader del Partito della Patria.
Prima di diventare la prima donna premier in Ucraina era considerata la più importante alleata del capo dell’opposizione Viktor Juščenko (Tymošenko era stata una deputata del suo gruppo quando Juščenko era premier), sostenendolo durante la campagna per le presidenziali del 2004. Fu anche una delle guide della Rivoluzione Arancione, nata da quelle elezioni e che portò Juščenko alla presidenza. In questo periodo alcuni mezzi di comunicazione occidentali la raffigurarono come la “Giovanna d’Arco della Rivoluzione Arancione”.
Il 24 gennaio 2005 fu nominata primo ministro dal neo eletto presidente Viktor Juščenko. Dopo diversi mesi di governo la mancata attuazione delle promesse di riforme iniziò a danneggiare il gabinetto Tymošenko. L’8 settembre del 2005, dopo le dimissioni del presidente del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale Petro Porošenko e del deputato Mykola Tomenko, il governo fu sciolto dal presidente stesso, che ne diede comunicazione alla nazione mediante un messaggio televisivo. In seguito Juščenko criticò il suo operato come capo del governo, accusandola di incompetenza nel gestire i contrasti tra i partiti della coalizione di maggioranza. Le succedette Jurij Jekhanurov.
Dopo le dimissioni la Tymošenko iniziò a viaggiare per l’Ucraina, in vista delle elezioni politiche del 2006. Rese subito chiaro che intendeva, in quanto leader del Blocco, ritornare a capo del governo. Il Blocco si posizionò secondo alle elezioni, conquistando 129 seggi su 450. Le aspettative di molti erano di una riedizione dell’ex-coalizione di maggioranza, formata dal Blocco, da Nostra Ucraina (partito del presidente Juščenko) e dai socialisti, impedendo così al Partito delle Regioni dell’oligarca Viktor Janukovyč di accedere al governo. Ma i negoziati si insabbiarono presto, soprattutto per le frizioni tra Tymošenko e gli altri due partiti della Rivoluzione Arancione.
Dopo le consultazioni del 5 maggio, Tymošenko annunciò la creazione per il 10 o l’11 dello stesso mese di una coalizione di maggioranza fra il suo Blocco, Nostra Ucraina e i socialisti. Tuttavia le trattative portarono a un nulla di fatto e Nostra Ucraina intraprese fitti colloqui con il Partito delle Regioni. Il 21 giugno, i media ucraini rivelarono il raggiungimento di un accordo per un governo presieduto dalla Tymošenko, dopo tre mesi di palude politica.
La nomina di Tymošenko a premier e la sua fiducia al Parlamento era attesa a giorni, ma era condizionata all’elezione del rivale di lungo corso Petro Porošenko, di Nostra Ucraina, alla presidenza del parlamento. Divenne chiaro che, ancor prima di insediarsi, i componenti della maggioranza erano diffidenti l’uno dell’altro, tanto da prevedere di arrivare a una forzatura delle procedure parlamentari, votando contemporaneamente Porošenko alla presidenza del parlamento e la fiducia al governo Tymošenko.
Per aggravare i contrasti, i deputati del Partito delle Regioni occuparono il parlamento dal 29 giugno al 6 luglio. Il partito filorusso annunciò un ultimatum alla maggioranza, richiedendo l’osservanza delle procedure parlamentari, la costituzione delle commissioni parlamentari composte proporzionalmente alla consistenza dei gruppi, la presidenza di alcune di esse e la nomina di governatori del Partito delle Regioni nelle aree dove quest’ultimo si era rivelato maggioritario alle elezioni del marzo precedente. La maggioranza non soddisfece alcuna delle richieste e annunciò che sia il Partito delle Regioni sia i comunisti sarebbero stati esclusi da un eventuale governo Tymošenko. Per tutta risposta, i partiti di maggioranza furono espulsi da tutte le commissioni dei consigli regionali controllati dal partito di Janukovyč.
Dopo l’elezione a sorpresa di Oleksandr Moroz, leader dei socialisti ucraini, alla presidenza del parlamento nella notte del 6 luglio, con i voti determinanti dei comunisti e del Partito delle Regioni, la coalizione di maggioranza terminò la propria esistenza, svanendo così la speranza di Timošenko di tornare a presiedere il gabinetto di governo. Dopo la creazione di una larga coalizione di maggioranza, guidata da Viktor Janukovič e composta dal Partito delle Regioni, Nostra Ucraina, socialisti e comunisti, Tymošenko divenne la leader dell’opposizione democratica.
A seguito del voto alle elezioni anticipate del 2007, tenutesi il 30 settembre, i partiti della Rivoluzione arancione affermarono di aver ottenuto abbastanza voti da poter formare un governo di coalizione. Il 3 ottobre 2007 il totale quasi definitivo dava all’alleanza di Julija Tymošenko e del Presidente un lieve vantaggio sul partito rivale del Primo Ministro Janukovyč. Nonostante Janukovyč, il cui partito aveva conquistato più voti degli altri singoli partiti, proclamò la vittoria, uno degli alleati di coalizione, il Partito Socialista d’Ucraina, non riuscì ad ottenere abbastanza voti per mantenere i seggi al Parlamento.
Il 15 ottobre 2007, il Blocco Autodifesa del Popolo-Nostra Ucraina e il Blocco Julija Tymošenko giunsero a un accordo per la formazione di una coalizione nel nuovo Parlamento alla 6ª convocazione. Il 29 novembre, fu siglata la coalizione tra il Blocco Julija Tymošenko e il Blocco Autodifesa del Popolo-Nostra Ucraina, associato al Presidente Juščenko. Entrambi i partiti sono affiliati con la Rivoluzione arancione. Il 18 dicembre Julija Tymošenko è divenuta Primo Ministro per la seconda volta.
La coalizione del Blocco Julija Tymošenko e di Blocco Nostra Ucraina-Autodifesa Popolare di Viktor Juščenko è stata minata a causa delle diverse opinioni riguardo alla guerra in Ossezia del Sud scoppiata nell’agosto 2008 tra Georgia e Russia. Julija Tymošenko non ha concordato con la condanna di Juščenko verso la Russia ed ha preferito restare neutrale sull’argomento. Juščenko l’ha pertanto accusata di assumere una posizione più morbida per ottenere il sostegno della Russia alle future elezioni presidenziali del 2010; Andrij Kyslynskij, vice presidente, è arrivato quasi a definirla “traditrice”.
Secondo il Blocco Julija Tymošenko, il Capo Staff del Segretariato Presidenziale Viktor Baloha aveva sempre criticato il premier, accusandola di qualsiasi fatto, dal non essere sufficientemente religiosa al danneggiamento dell’economia fino alle accuse secondo le quali la Tymošenko stava progettando un assassinio ai suoi danni; l’accusa di tradimento verso la Georgia era quindi solo l’ultima delle ultime rivolte al premier.
Dopo che il Blocco Julija Tymošenko ha votato insieme al Partito Comunista d’Ucraina e il Partito delle Regioni per approvare una legislazione atta a facilitare la procedura di messa in stato di accusa del Presidente e per limitare i poteri del Presidente, aumentando quelli del Primo Ministro, il blocco di Viktor Juščenko si è posto fuori dalla coalizione e Juščenko stesso ha promesso di porre il veto sulla legge ed ha minacciato un’elezione in caso di mancata formazione di un’altra nuova coalizione. Ciò ha portato alla crisi politica del 2008 culminata con lo scioglimento del Parlamento avvenuto l’8 ottobre 2008[14]. Mentre era in visita in Italia, il Presidente Viktor Juščenko annunciò le terze elezioni in meno di tre anni in un discorso pre-registrato per la televisione ucraina.
La crisi si è conclusa quando la coalizione arancione è stata riportata in vigore il 9 dicembre 2008, con l’inclusione del Blocco di Litvin; questo è avvenuto dopo che Volodimir Litvin è stato eletto Presidente del Parlamento. Lo svolgimento delle elezioni è quindi stato definito, dal Presidente stesso, una soluzione irragionevole.
Julija Tymošenko si presentò come candidata alle elezioni presidenziali, ingaggiando specialisti stranieri per la sua campagna elettorale. Al primo turno del 17 gennaio giunse seconda, ottenendo il 25% di preferenze. Al ballottaggio del 7 febbraio si scontrò con l’acerrimo rivale di sempre Viktor Janukovič, che ottenne il maggior numero di voti, il 48,95%, rispetto al 45,47% della Tymošenko.
Il 5 agosto 2011 il tribunale di Kiev ne ha ordinato l’arresto nel processo che la vede imputata per aver stipulato un contratto per la fornitura di gas russo all’Ucraina senza aver avuto il preventivo consenso del governo; la Tymošenko aveva ripetutamente contravvenuto alle disposizioni della procura di non lasciare Kiev. Una delle tesi sulle ragioni dell’arresto è quella di aver insidiato le rendite degli oligarchi russi del gas.
Julija Tymošenko è stata arrestata in aula dove sono scoppiati tafferugli. Alcuni deputati vicini alla Tymošenko hanno tentato di impedire l’intervento dei poliziotti ma sono stati bloccati dalle forze dell’ordine. Uscendo dall’aula l’ex eroina della Rivoluzione Arancione ha gridato “Vergogna! Vergogna!, io ho sempre lavorato nell’interesse esclusivo dell’Ucraina!”. L’arresto ha seguito quello del suo ex ministro degli Interni Jurij Lucenko, detenuto in carcere da tre anni con la medesima accusa. Il giorno successivo, i sostenitori della Tymošenko sono scesi in piazza per protestare contro quello che la “lady di ferro” ha definito un processo politico. Il giorno 11 ottobre 2011 è stata condannata a 7 anni di carcere per aver esercitato pressioni su un accordo per la fornitura di gas con Putin. Lei ha ascoltato la sentenza “seduta” in tribunale con in mano un iPad, annunciando in seguito che farà ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Il 22 novembre la Tymošenko è stata ricoverata in ospedale a causa di dolori lombari che da giorni la costringono a letto. Il 23 dicembre, la corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado a sette anni di reclusione. L’ex premier ha sostenuto che si tratta di una sentenza politica e che si rivolgerà alla Corte europea per i diritti umani.
Nell’prile del 2012, il partito della ex premier ucraina ha diffuso varie fotografie che riprendono la leader dell’opposizione seduta su un letto mentre mostra alcuni lividi che lei afferma esserle stati procurati nel corso di un’aggressione delle guardie carcerarie.
Il 29 agosto 2012 la Corte Suprema dell’Ucraina nell’ultimo grado di giudizio ha confermato la condanna a sette anni di reclusione per abuso d’ufficio. Per l’ex Primo Ministro ucraino rimane aperta unicamente la possibilità di rivolgersi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
Fonte: http://rus.ruvr.ru – wikipedia