Con la circolare n. 8996 del 2012 il Ministero dell’Interno conferma alle Questure la possibilità di rilasciare la carta di soggiorno per familiare di cittadino UE anche nel caso di coniugi dello stesso sesso.
La circolare si apre negando che la legislazione italiana riconosca questa possibilità, poichè in Italia non è consentito il matrimonio fra coppie dello stesso sesso. Se è vera la seconda affermazione, non altrettanto si può dire per la prima. Il d.lgs. 30 del 2007, infatti – e così anche la Direttiva 2004/38/CE – quando definisce i familiari che hanno diritto di ingresso e soggiorno si limita a citare soltanto il “coniuge”, e non il “coniuge considerato tale secondo l’ordinamento del Paese ospitante”; successivamente poi riconoscendo pari diritto di ingresso e soggiorno al partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata specifica -solo per questo secondo caso- che tale diritto è riconosciuto solo se la legislazione dello stato membro ospitante equipara l’unione registrata al matrimonio.
I due casi sono dunque disciplinati in maniera differente: ha diritto di ingresso e soggiorno il coniuge che sia tale per il Paese di provenienza o per il Paese ospitante; diversamente, ha diritto di ingresso e soggiorno il partner che abbia contratto una unione registrata solo nel caso in cui la legislazione dello Stato membro ospitante equipara l’unione registrata al matrimonio.
Di questa norma le Questure hanno sinora dato una interpretazione restrittiva e abnorme, applicando la limitazione della seconda ipotesi anche alla prima, e quindi escludendo il diritto di ingresso e soggiorno del coniuge dello stesso sesso poiché il Paese “ospitante”, l’Italia, non consente il matrimonio fra persone dello stesso sesso, e non secondo il Paese da cui il coniuge o la coppia proviene.
La giurisprudenza ha invece interpretato diversamente la norma e finalmente il Ministero dell’Interno ha recepito tale orientamento, appunto con la circolare in commento. Una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia (del 13 febbraio 2012) ha annullato infatti il diniego di rilascio di Carta di soggiorno per familiari di cittadini UE ad un cittadino uruguayano sposato in Spagna con cittadino italiano, emesso dalla Questura di Reggio Emilia, e riconosciuto il diritto ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi di famiglia ad un cittadino straniero sposato con cittadino italiano in un Paese dell’UE.
Sulla definizione di coniuge si era pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza n. 1328 del 2011), specificando che “coniuge” all’art. 2 del d.lgs. 30 del 2007 deve intendersi rispetto all’ordinamento in cui il matrimonio è stato contratto. Di conseguenza, se il matrimonio è stato contratto in Spagna occorrerà includere nella definizione di coniuge anche quello dello stesso sesso, benché in Italia ciò non sia consentito.
Ancor prima la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010 seppur abbia ritenuto legittima l’attuale normativa italiana che non consente alle coppie dello stesso sesso di sposarsi, ha in ogni caso posto le basi per l’evoluzione della giurisprudenza e dell’ordinamento stesso affermando che all’unione omosessuale spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente la vita di coppia e che il diritto all’unità familiare, che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare, costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana.
Si tratta sicuramente di un passo avanti, che evita ulteriori contenziosi ma che ancora non risolve, situazioni a questa “affini”. Se infatti la circolare nel suo titolo si riferisce alle “unioni” fra persone dello stesso stesso (riferendosi quindi sia ai matrimoni che alle unioni civili registrate), nulla disciplina rispetto alle convivenze di fatto nel caso in cui il partner nel proprio Paese non abbia accesso al matrimonio ne’ alle unioni registrate, prospettando dunque profili di violazione del diritto alla non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nonche’ del diritto all’unita’ familiare, diritti garantiti sia dalla Costituzione italiana che dalle norme internazionali (Art. 21 della Carta UE, artt. 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali).
Articolo di Emmanuela Bertucci – fonte: aduc