Per i giovani italiani, in particolare quelli del Mezzogiorno d’Italia la spirale recessiva ha attivato dei meccanismi che come conseguenza hanno amplificato la disoccupazione arrivata a livelli da record e quindi una maggiore difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro.
È un dato di fatto, lo dicono tutti gli indicatori in tal senso, che la disoccupazione giovanile aumenta e i laureati non hanno opportunità. I giovani del Sud hanno ripreso ad emigrare non solo verso il nord, ma anche in quei paesi europei dove la richiesta di forza lavoro ha ripreso ad attivarsi, come in Germania dove addirittura l’OCSE ha rivelato che ci sono rischi di una penuria di nuovi lavoratori rispetto alla domanda, oppure rimangono nella zona d’origine, accettando il lavoro nero, che per fare l’esempio della sola Puglia rappresenterebbe il 40% del mercato del lavoro e che non rare volte è anche una fonte di reddito integrativa per i tanti cassintegrati.
Se la fine del tunnel è difficile da vedere, a provare a fare qualcosa c’è l’Europa perché i governi nostrani, anche quello tecnico, si sono rivelati incapaci di riattivare la macchina Paese.
Durante i negoziati sul bilancio europeo 2014-2020, i capi di Stato e di governo hanno stanziato 6 miliardi di euro proprio per favorire l’occupazione giovanile.
A tal proposito, ricorda Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, che l’Italia riceverà una fetta importante di questi fondi che si spera vengano effettivamente destinati a misure serie e non alle solite ricadute a pioggia per arginare questa piaga che affligge soprattutto il Meridione.
Inoltre, vale la pena sottolineare che la Commissione europea ha proposto che tutti gli Stati dell’Unione si impegnino ad assicurare ai giovani un lavoro o un’occasione di formazione e riqualificazione entro 4 mesi dalle fine del loro percorso di studi. Sarà possibile in Italia?