Prima della morte di Steve Jobs, tutto ciò che sapevo su di lui mi era giunto tramite passaparola, video e mie supposizioni sulla sua persona basate sul personaggio pubblico che si mostrava al mondo.
Non avevo letto nulla su di lui, qualcosa mi bloccava dal leggere i libri che circolavano sul suo conto come “Nella testa di Steve Jobs. La gente non sa cosa vuole, lui sì“. Mi rifiutavo di avventurarmi in letture che non avevano niente da darmi, se non un’analisi di ciò che già potevo dedurre di mio.
Tutto ciò è cambiato alla sua morte, poiché già sei anni fa Steve aveva pensato alla creazione di un suo testamento spirituale, un lascito che svelasse tutto di lui senza segreti. Per la sua stesura si è voluto affidare a Walter Isaacson, noto biografo, e il risultato possiamo gustarlo oggi nella magnifica biografia, dal titolo minimale come sarebbe piaciuto a lui: “Steve Jobs“.
Questo non vuole essere né un articolo da fanboy (cosa che non sono) né un elogio, ma semplicemente un punto di partenza per chi come me è interessato e attratto da questo personaggio e lo crede, non un genio, non un “drogato che ha avuto una botta di fortuna”, ma un uomo più profondo con un percorso travagliato che è bello avere la possibilità di conoscere.
Personalmente sapevo poco e nulla del Jobs precedente la fondazione della Apple e il libro di Isaacson mi ha permesso di conoscere tutto il percorso che lo ha portato al successo, che forse è addirittura più interessante di ciò che ha fatto una volta raggiunto il successo (ok forse sto esagerando).
La cosa che più mi ha affascinato è stata l’idea di fondo con la quale viene presentato il personaggio: Jobs non ha doti tecniche straordinarie (a differenza di Wozniak), ma è un invidiabile uomo d’affari, che si trova all’intersezione di mondi diversi, fra tecnica e arti liberali.
Prima di leggere il libro non sapevo che:
- Steve era un bambino prodigio alle scuole elementari e viveva in un quartiere popolato da ingegneri;
- suo padre era un meccanico col fiuto per gli affari e lui cercò di emularlo in un altro settore, l’elettronica;
- non avesse il minimo rispetto per l’autorità e si divertisse a far loro scherzi e a metterle in difficoltà con le parole;
- era un fan sfegatato di Bob Dylan e che l’amicizia con Wozniak nacque anche per questo.
- progettò, insieme a Woz, una versione single-player di Pong usando pochissimi chip e in soli 4 giorni;
- avesse frequentato il Reed College per un semestre, seguendo un corso di indirizzo letterario;
- il primo progetto commerciale realizzato da lui e Woz non fu l’Apple I, ma furono le così dette Blue box, delle “scatole magiche” che permettevano di fare chiamate interurbane al costo di normali chiamate urbane (ai tempi non c’era Skype); riuscirono a venderne un centinaio;
- usarono una di queste per fare uno scherzo telefonico al Papa, chiamando il vaticano e fingendosi vescovi;
- non sapevo che per la maggior parte del tempo girasse puzzolente e vestito come un barbone;
- non sapevo della sua ossessione per la cultura Zen e per la ricerca dell’illuminazione che lo condusse in un viaggio di diversi mesi in India.
Quello che voglio dirvi è che l’apparenza spesso inganna e conoscere la storia di quest’uomo può risultare un’esperienza interessante, anche per chi non è un fanboy.
Fonte: Skimbu