Mini-navette ‘postine’ liberate da cellule staminali caricate di farmaci anticancro. Così viaggia la chemioterapia secondo una nuova tecnica studiata da un gruppo di scienziati italiani, autori di uno studio pubblicato sul Journal of Controlled Release. La ricerca, condotta in laboratorio su un modello di carcinoma del pancreas, senza alcuna manipolazione genetica, è frutto di una collaborazione tra le università degli Studi di Milano, Milano-Bicocca e Perugia e l’Istituto neurologico Carlo Besta del capoluogo lombardo. Il team ‘tricolore’ ha dimostrato per la prima volta che le staminali mesenchimali e le microvescicole che queste cellule producono possono essere usate come veicoli fisiologici efficaci contro la proliferazione tumorale.
Le cellule stromali mesenchimali presenti in molti tessuti umani adulti, in particolare nel midollo osseo e nel tessuto adiposo – ricordano gli autori – sono in grado di rigenerare e riparare tessuti organici danneggiati. Recentemente, però, si è scoperto che queste stesse staminali possono essere utilizzate anche come vettori per trasportare farmaci in modo mirato, facendoli arrivare dove servono così da aumentarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali. Le cellule mesenchimali possono essere infatti caricate ‘in vitro’ con farmaci chemioterapici e successivamente utilizzate per il trattamento dei tumori.
La novità del lavoro – coordinato da Augusto Pessina, professore di microbiologia alla Statale di Milano, da Giulio Alessandri del Besta, e da Luisa Pascucci dell’ateneo di Perugia (prima firma della pubblicazione) – sta nell’aver dimostrato per la prima volta che il farmaco antineoplastico paclitaxel, assunto dalle cellule, è successivamente rilasciato non solo in forma libera, ma anche all’interno di microvescicole e/o esosomi. Lo studio, eseguito su un modello tumorale particolarmente aggressivo come il cancro del pancreas, suggerisce che le microvescicole derivate dalle staminali mesenchimali ‘scaricano’ il farmaco in concentrazioni efficaci, contrastando la crescita del cancro.
Nel 2013 il sistema delle microvescicole ha fruttato il premio Nobel per la Medicina a James Rothman, Randy Shekman e Thomas Südhof. I suoi meccanismi governano il trasporto delle molecole sia all’interno della cellula che dall’interno verso l’esterno, e sono fondamentali anche per il trasferimento di informazioni da cellula a cellula. Lo studio italiano apre secondo gli autori “un nuovo campo di indagine sulle funzioni cellulari di base (bio-farmaco-tossicologiche), e interessanti prospettive relativamente all’uso di cellule e di loro prodotti (microvescicole) per il trasporto e il rilascio di farmaci in applicazioni cliniche”.
“Il dispositivo cellula-farmaco può essere preparato mediante procedure semplici e poco costose – sottolinea Pessina – senza alcuna manipolazione di tipo genetico (necessaria in alcune tecnologie di terapia cellulare avanzata), e ciò riduce o elimina del tutto i rischi correlati alla manipolazione di geni: in questo modo la cellula caricata del farmaco può essere usata come veicolo fisiologico all’interno dello stesso organismo”. “Sebbene lo studio abbia prevalentemente riguardato l’aspetto oncologico – aggiunge Eugenio Parati, co-autore del lavoro e direttore del Dipartimento di malattie cerebrovascolari del Besta – l’uso di questo dispositivo in futuro potrà estendersi ad altre patologie, per esempio l’ictus. E’ importante sottolineare che non si tratta ancora di una terapia disponibile nella pratica clinica quotidiana, ma rappresenta una novità molto promettente per tutte quelle malattie o traumi del cervello in cui è necessario portare un farmaco alle giuste concentrazioni a tessuti che per posizione o altre ragioni sono molto difficili da raggiungere”.
fonte aduc